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Azienda Agricola Ràdica: per chi nella terra vede il proprio futuro

Pubblicato il 23-01-2018
da Luigi Spina
Categorie:
  • Calabria
  • Esperienze
  • Produzioni Locali
  • Storie

Il Parco del Pollino fa da sfondo alla storia che vi vogliamo raccontare oggi. Siamo tra il territorio di Cerchiara di Calabria e quello di San Lorenzo Bellizzi, in provincia di Cosenza. Questi ultimo borgo è l’avamposto che porta alle Gole del Raganello che poi rapidamente degradano verso il parco che si spinge fin dentro la Basilicata, con le colline che diventano velocemente montagne. La Calabria dai mille volti ti avvolge risalendo i tornanti che, come lunghi serpenti, ti accompagnano verso questi paesaggi rimasti incontaminati. In meno di cinquanta chilometri mare, collina, montagna in uno spettacolo che lascia il visitatore senza parole.

Il Pino loricato, una pianta centenaria che resiste al passare dei secoli, con la sua maestosità e con la bellezza di alcuni esemplari che dominano incontrastati i paesaggi adagiati sulle vette più impervie è il simbolo del parco. Pianta resistente, che ha modellato i rami per resistere meglio ai venti gelidi che durante l’inverno si abbattono su queste montagne. La testardaggine con cui queste piante resistono alle avversità è anche quella che ritroviamo nelle parole della protagonista della storia di oggi, Rosita Mastrota, conduttrice insieme al padre dell’Azienda Agricola Carlomagno.

Noto immediatamente il piglio deciso di questa ragazza, che nonostante i suoi 26 anni dimostra subito di avere le idee chiare. “Vi do una notizia in esclusiva, uno scoop, la mia azienda da oggi non si chiamerà più Carlomagno..” né Cuor di Mela penso, come segnalato sulla sua pagina Facebook, “…si chiamerà Ràdica”. Ci spiega che questo è il nome che descrive meglio la sua filosofia, il suo modo di essere e di vedere le cose. Nella lingua dialettale di questi luoghi, la parola ràdica viene usata, non sempre con riferimenti propriamente positivi, per descrivere la cocciutaggine di una persona, il suo essere inamovibile rispetto alle proprie convinzioni e, quindi, anche scelte. La sua è una scelta chiara, il nome ne è solo la conseguenza, un qualcosa che descrive bene la chiusura di questo primo cerchio, d’altronde i genitori le hanno sempre detto che la sua ràdica è forte.

Lei ha scelto di fare la coltivatrice perché vuole creare economia per il suo territorio, l’unica via che le consente di non lasciare il suo paese: “Mi piace la campagna e stare all’aria aperta, qualcuno mi dice che sono un po’ pazza perché arrivo a parlare con le piante”.

Ma quella di Rosita è anche una scelta consapevole. Seconda di tre figli, ha maturato una passione per la terra a partire da un primo impianto di circa cento piante di melo. I terreni, derivanti da un lascito dei nonni che si dedicavano essenzialmente ad allevamenti zootecnici, si trovano tra i comuni di San Lorenzo Bellizzi e della vicina Cerchiara di Calabria. Un primo impianto nel 2009 seguito da altri successivi e continui, in un crescendo di passione che ha modificato la sua storia personale.

Rosita, iscritta alla Facoltà di Scienze Forestali all’Università di Bari, devia il suo percorso a pochi esami dalla conclusione – ci dice che ora è difficile riprendere visto l’impegno in azienda, ma che non rinuncia all’idea di laurearsi – dedicando tutte le sue forze alla sua attività. Come tanti altri colleghi agricoltori, ci parla di un’agricoltura che, attualmente, è di sopravvivenza, con un’attività che diventa appannaggio di pochi che scelgono di sacrificarsi enormemente. La verità è quella di sempre: il prezzo riconosciuto a chi coltiva è di gran lunga più basso rispetto a quello che remunera le spese sostenute, perché parlare di guadagno diventa quasi utopico. Le mele che, ad esempio, si possono trovare al dettaglio a 89 centesimi al chilo hanno dell’inspiegabile, soprattutto se si pensa al fatto che, minimo, c’è già stato un passaggio dall’agricoltore a chi poi lo vende in una filiera corta che al produttore non lascia praticamente nulla. Pensare poi di dare il prodotto ad un grossista è cosa impossibile per le aziende che producono piccole quantità. Quando chiediamo a Rosita quale potrebbe essere il prezzo equo per le sue mele, in maggior parte di tipo commerciale e in piccola parte autoctone, ci dice che il prezzo che remunererebbe il suo lavoro si aggira intorno all’euro e cinquanta al chilo. Ecco allora che la scelta di trasformare il suo prodotto in confettura si può dimostrare vincente, perché trasformato il prodotto ha un valore che ripaga degli sforzi fatti. Così, con l’ausilio di un piccolo laboratorio lucano, nascono le sue confetture di mela – 82% di frutta – che vengono arricchite con quel tocco di sapori del territorio quali la liquirizia, il peperoncino, le mandorle.

Come detto più sopra la storia di Rosita prende le mosse da un piccolo impianto di circa cento piante di melo, reso possibile da un piccolo finanziamento regionale. Una volta piantanti questi primi esemplari, è cresciuta la voglia di piantumare l’altra parte del terreno: “non ce la facevo a vederlo vuoto e spoglio, e poi le mele hanno cominciato a dare i propri frutti”. In breve tempo in azienda le piante di melo sono 1200, con la maggior produzione proveniente da varietà commerciali, poi la scelta di tentare con varietà autoctone come la puma lappia, gialla, o la pumicella, rossa. Queste sono varietà meno produttive per quantità prodotte dalla pianta e per dimensione del frutto, ma certamente con profumi e sapori unici.

“E’ importante il territorio, senza di quello non saremmo nulla”, ci dice Rosita “…per questo ci siamo concentrati anche sulla produzione del grano carosella, dei lamponi e delle fragole di bosco, delle more con circa 700 piante allevate anche con inserimenti di varietà locali, i fagioli rossi di Sarconi e la lenticchia, che coltiviamo per arricchire di azoto il terreno”. Molte piante vengono inserite per monitorare le malattie, come le rose che segnalano la presenza di oidio e afidi,  o per fare da antagoniste, come la lavanda che tiene lontani gli afidi,  in un tipo di agricoltura che è di tipo conservativo con interventi ridotti al minimo indispensabile, cercando di limitare anche i trattamenti consentiti dal regime del bio. L’azienda è attualmente in conversione al biologico, meglio alla certificazione, perché nella realtà biologica lo è sempre stata.

La speranza di Rosita è che le persone, si orientino sempre più verso il cibo buono, “ma per fare questo bisogna educarle, le persone devono poter venire in azienda, per vedere dal vivo quello che coltiviamo, io ci metto la faccia!”. Per questo il suo lavoro, oltre che verso la produzione, è diretto anche a farsi conoscere. Ci dice che cerca di partecipare a fiere ed eventi con al centro i prodotti del territorio con l’obiettivo di far conoscere la sua realtà e ciò che, con tanto impegno, realizza.

Rosita ci dice queste parole con grande orgoglio perché il lavoro dell’agricoltore non deve essere visto come un non lavoro, un hobby, “io ho un’azienda e lavoro tutti i giorni con la mia famiglia per produrre tutti i nostri prodotti, è un lavoro come tutti gli altri, con pari dignità se non maggiore rispetto ad altri”. Queste sue parole, lette alla luce di un territorio che storicamente negli ultimi cinquant’anni ha prodotto poche generazioni di giovani agricoltori, risuona come un monito indirizzato a quei giovani che preferiscono non lavorare pur di non sporcarsi le mani con la terra. Per Rosita oggi fare agricoltura è diverso da un tempo, “con le nuove tecnologie tutto è più facile, come anche con i social, è divenuta realtà la possibilità di creare delle cerchie di contatti che costituiscono delle vere e proprie comunità di intenditori”.

Un’agricoltura, quindi, che deve essere in grado di innovare e rinnovarsi e i giovani possono fare tanto in questo senso. Siamo convinti che il suo possa diventare un esempio che può aiutare tanti giovani a riflettere sul da farsi, per agire nel senso della valorizzazione di un territorio che può offrire tanto, senza dimenticare che per fare l’agricoltore è diventato indispensabile lo studio. Per questo il fratello di Rosita, Danilo, che attualmente aiuta la sorella nei lavori più pesanti, ha scelto di proseguire gli studi e dopo esser diventato perito agrario si è orientato verso l’enologia, chissà che prima o dopo non nasca anche un buon vino a Ràdica!

Il seme del cambiamento sognato da Rosita ha prodotto il suo primo frutto e chissà, un giorno, anche altri seguiranno il suo esempio, perché il futuro è possibile solo se lo vogliamo davvero, in prima persona.

 

Grazie Rosita, grazie Azienda Agricola Ràdica, grazie Cerchiara di Calabria, grazie San Lorenzo Bellizzi!

 

Per contatti, per aggiornamenti o per prenotare una visita:

 

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Luigi Spina

Founder del progetto WeTipico, Laurea in Economia Aziendale, figlio di un piccolo imprenditore agricolo ed ex-manager in una multinazionale, scrive per passione. Ama raccontare le storie delle persone che vivono il territorio, con la convinzione che condividere esperienza è il primo passo verso un nuovo modello di relazione ispirata alla trasparenza.

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