Azienda Agricola Simone Giacomo: pantaloncini corti e canottiera per ritornare alla terra
Il borgo di Castelvenere è uno dei piccoli comuni immerso nella Valle Telesina protetta dai monti del Parco Regionale del Matese e i monti del Sannio. Un territorio a forte vocazione agricola con produzioni, soprattutto vigneti, che hanno nella Falanghina e nell’Aglianico due rappresentati principali. “In queste terre ci sono sempre stati uliveti e vigneti” ci dice Giacomo dell’omonima azienda Agricola Simone Giacomo. In gran parte del ‘900, la produzione agricola è stata l’attività principale e solo a partire dagli anni ’50 è diventato il secondo lavoro dei molti che hanno cercato riscatto in attività lontane dalla terra. Questo cambiamento, culturale e di prospettiva, ha visto negli stessi anni un abbandono di molti terreni e la conseguente dispersione sia di competenze agrarie che una diminuzione delle quantità realizzate in queste terre.
Un numero crescente di giovani, sospinto da chi li ha preceduti, ha scelto di lavorare in città lontano dalla campagna dedicandosi ad attività che tenevano a debita distanza la terra. Lavorare in campagna negli anni del boom economico era una soluzione che non garantiva il sostentamento della famiglia, ma anche una scelta di uno status nuovo, lontano dalle scarpe grosse e cervello fino. Un territorio che ha cercato, per molti anni, il suo riscatto in un altrove che poco aveva a che fare con il territorio e le sue vocazioni. Così la produzione agricola si è pian piano trasformata in una seconda attività, spesso relegata a hobby per chi di lavoro faceva altro, socialmente più riconosciuto.
La storia dell’azienda Agricola Simone Giacomo, descrive alla perfezione questo passaggio, quasi antropologico. Il papà di Giacomo, Enzo, ha immaginato per il figlio una vita di studio, con un futuro da professionista affermato. D’altronde anche lui è diventato professionista mettendo da parte la passione per la propria terra che tante soddisfazioni aveva dato al suo di padre. “Io faccio parte del ritorno. Mio padre mi ha sempre spinto e incoraggiato a portare a termine un buon percorso di studi, una traiettoria che mi allontanasse da quel mondo contadino difficile e spesso chiuso che lui ben conosceva, essendoci cresciuto”, ci dice Giacomo che ha preso in mano la conduzione della loro piccola azienda agricola circa cinque anni fa. “È stata una grande emozione tornare a zappare nella terra dove ha zappato mio nonno” ci spiega durante la nostra chiacchierata. In un primo momento si era iscritto a ingegneria informatica, ma la provenienza dagli studi classici e quella necessità, sottotraccia ma forte, di ritornare alle sue origini lo hanno convinto a deviare da quel percorso già scritto. Durante un periodo di lavoro a Londra, in un laboratorio che ricondizionava computer da inviare verso i paesi poveri del mondo, matura in lui la voglia forte di ritornare da dove è partito. “Stavo bene ma non riuscivo a sentirmi completo. Continuavo a ripetermi che c’erano state decine di generazioni, prima della mia, nel mio territorio, che erano riuscite a vivere con la loro terra e che la scelta di andare via era la scelta più facile, paradossalmente la meno pesante. Volevo tornare qui, dove ora ho meno tempo per me ma nel posto in cui mi sento certamente più felice”. Quando gli chiedo se è possibile vivere di agricoltura oggi mi risponde di si. “Certo è difficile, ma vivendo di agricoltura ho la chiara sensazione di sentirmi libero, riappacificato con me stesso riesco a capire molte più cose ora di quando vivevo in città. Da piccolo quando andavo in campagna la domenica, soprattutto d’estate, e quando il signore che per anni ha curato i nostri terreni mi faceva segno di seguirlo, io non dubitavo nemmeno per un secondo. Pantaloncini corti e canottiera, mi sentivo un vero agricoltore, sul trattore. Ora sorrido ripensandoci, ma se confronto la mia esperienza con quelli dei tanti bambini che oggi fanno difficoltà a capire che l’insalata non nasce in una busta, mi sento davvero fortunato.
Riuscire a percepire il contatto con la natura, quell’istinto che ti viene da dentro, perché in fondo anche noi apparteniamo alla specie animale, è una fortuna immensa”. Siamo perfettamente d’accordo su questo punto, l’amore per la natura non è elemento che facilmente si insegna e più spesso il suo vigore è più forte se si impara a goderne attraverso il vissuto diretto.
I terreni dell’azienda, piantumati per la gran parte a vigneto, dispongono sia di un impianto nuovo, di circa 20 anni dove sono presenti in particolare Falanghina, Aglianico e Barbera del Sannio, che di parti recuperate su impianti di vecchi viticultori, con cloni locali di Malvasia (Grieco), Trebbiano Toscano (Cerreto) e Sangiovese Toscano che via via stavano abbandonando le loro produzioni. Questo ha consentito di arrivare agli attuali otto ettari vitati. In azienda si produce anche olio e grani antichi, qualità riscoperte da Giacomo anche grazie all’aiuto del Presidio locale di Slow Food. Un percorso che, grazie anche all’aumento della sensibilità dei consumatori, ha determinato una maggiore richiesta di questi grani, da parte dei numerosi pastifici locali.
Il tono della sua voce si fa grave perché ci dice che quest’anno non è riuscito a seminare il grano: “siamo troppo piccoli e, non avendo in azienda la disponibilità del trattore di grosse dimensioni che occorreva per l’aratura, non siamo riusciti a intercettare in tempo il conto terzi che potesse fare la stessa”. Un bel danno per la sua azienda, che speriamo riuscirà a recuperare piantumando altre colture. Giacomo si è messo in forte discussione con il suo progetto: “ho fatto corsi sulla potatura, sia regionali che in grosse cantine, ma per molte cose sono autodidatta. Utile il confronto con le altre persone sulla gestione della vigna e sulla vinificazione e i tanti documenti presenti su internet, anche se la cosa che ritengo fondamentale siano state le prove dirette. Quando non hai esperienza devi provare, magari anche solo su due filari ogni anno, per capire cosa accade alla vite in conseguenza di ogni singola operazione”.
Nell’idea di Giacomo, l’agricoltura non è una fabbrica dove fai sempre la stessa cosa ma una continua ricerca della perfezione, con il tempo che ti consente di capire da un anno all’altro cosa succede, perché gli effetti del tuo operato li vedrai solo dopo. “Le aziende più affermate hanno dalla loro parte generazioni di esperienza, un plus costruito nel tempo ed estremamente importante”, ci dice Giacomo cosciente che avere 29 anni vuol dire mettere in conto di fare un progetto per il futuro e per le future generazioni, “è un patto che fai con la natura, dove noi non decidiamo tutto”.
Una parte delle uve provenienti dai vitigni più giovani viene venduta direttamente a terzi, mentre il resto della produzione viene destinato all’imbottigliamento, attualmente circa 15.000 bottiglie. Con il tempo la produzione si sposterà ancor più verso l’imbottigliato, motivo per cui è stata realizzata la cantina per la vinificazione. Un progetto molto impegnativo per una cantina ipogea su tre livelli di lavorazione, costruita nel 2015, con la zona dedicata all’affinamento nove metri al di sotto del piano terreno e con la lavorazione del prodotto che avviene per caduta, ottenuta grazie alla distribuzione a cascata degli ambienti produttivi. Il progetto ha consentito di ricreare la massima simbiosi tra l’architettura e il territorio circostante, con un unico elemento visibile il portale di ingresso che si incastona nella parete tufacea puntando sulla valle.
Un progetto con il quale sta cercando di coinvolgere tutto il territorio, le cantine ipogee sono proprie del territorio di Castelvenere, con leggende che narrano che nelle cantine tufacee si riunissero le streghe. Giacomo sa bene che da soli è difficile andare lontani e che la crescita del territorio può essere determinante per la sua sfida. Il rapporto con gli altri produttori è buono ed è basato su una sana competizione. D’altronde su un territorio popolato da circa 2500 abitanti, sono più di venti gli imbottigliatori e chi non vinifica fa la produzione per sé e la tentazione di accaparrarsi l’ultimo cliente è forte, ma in azienda hanno deciso di puntare all’imbottigliamento su una fascia di prodotto che si confronta su un mercato più ampio rispetto a quello locale. Allo sfuso è dedicato un ruolo marginale in cantina, soprattutto come avanzo non imbottigliato.
Un vino senza solfiti che proviene da vigneti specifici, perché da ognuno di questi viene fuori un’uva particolare, esposizione, terreno e altitudini sono differenti, e quindi un vino particolare e unico. Ogni vino in questa cantina ha il suo percorso specifico. Ad esempio nella produzione del Beneventano Rosso IGP (Nonno Tore), un vino naturale ottenuto a partire da uve Sangiovese (50%) e Aglianico (50%), senza aggiunta di lieviti e anidride solforosa e senza nessuna chiarifica – adatto alle diete vegane – viene fatto un pesante diradamento dell’uva in fase di invaiatura che determina un calo nelle quantità prodotte ma che consente di ottenere uve che rilasciano maggiori profumi al prodotto finito. “Qualcuno mi guarda perplesso quando ad Agosto butto giù l’uva in questa operazione, che si è resa ancora più necessaria nel 2017 per aiutare la vigna a superare la prolungata siccità. Salvare la vite era l’obiettivo primario perché, come dicono gli anziani, la siccità può essere peggiore di tutte le altre calamità”. Tra i vini identificativi di questa cantina troviamo il Sannio Barbera DOP, ottenuto dal vitigno omonimo, un vino fermo affinato in solo acciaio, giovane, fresco e da consumare in pochi anni dopo i quali perde i sentori di frutta fresca, ciliegia e prugna. Un abbinamento perfetto con i piatti apparentemente poveri della tradizione locale come ad esempio la scarpella (timballo con uova, salsiccia e formaggio vaccino) o con arrosti di agnello. Altro fiero rappresentante il Beneventano Bianco IGP, ottenuto dalla vinificazione di uve di Grieco e Cerreto da vitigni con un’età media di 45 anni, ottenuto dalla macerazione su fecce fini per 4-6 mesi è un vino che ben si coniuga con primi piatti a base di pesce e formaggi freschi o semistagionati. L’azienda Agricola Simone Giacomo è in conversione al regime di agricoltura biologica. Giacomo ha già piantato delle barbatelle selvatiche che verranno innestate con varietà locali. Fra queste la varietà Agostinella che si sta perdendo e che ha comportato una ricerca specifica sul territorio. La filosofia di questa azienda è racchiusa in quello che ci dice Giacomo alla fine della nostra conversazione: “dobbiamo essere più attenti a quello che abbiamo, a volte le mode fanno perdere di vista quelle che sono le tante risorse locali. Imparare a rispettare e amare le proprie terre, i propri monti, mantenendo intatta la biodiversità, è fondamentale per non dimenticare da dove veniamo” e, aggiungiamo noi, per avere chiaro dove vogliamo davvero andare! È stato un piacere rincontrare Giacomo Simone, una bella conferma rispetto a quando lo abbiamo conosciuto durante la Fiera dei Vignaioli indipendenti di Piacenza.
Grazie Azienda Agricola Simone Giacomo, grazie Giacomo, grazie Castelvenere!
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